Una lotta primordiale tra giganti
La scena si svolse 76 milioni di anni fa in Nord America.
Un ceratopside, uno di quei massicci dinosauri erbivori simili ai triceratopi, si aggira per la pianura zoppicando. Ha un’infezione ossea alla zampa anteriore sinistra e la sua mandria è lontana. Solo e vulnerabile, finisce ben presto vittima dei voraci carnivori nei paraggi. Non prima, però, di aver tentato un’estrema difesa con i suoi corni e con l’enorme collare osseo che portava sopra il muso.
Il gigante corazzato, scoperto recentemente, si chiamava Spiclypeus shipporum ed è stato dissotterrato per caso nel 2005 da un cercatore dilettante di fossili nella Judith River Formation in Montana. Al momento della morte la creatura aveva dieci anni e una testa davvero sorprendente: un grosso becco ricurvo, un corno sopra il naso, due altri corni più lunghi che da sopra gli occhi sporgono lateralmente dal cranio, un enorme scudo triangolare che sale per due metri verso l’alto, ornato da spuntoni che ai lati si protendono verso l’esterno mentre in alto sono ripiegati all’interno. Questa pesante struttura serviva per proteggersi, ma le forme elaborate e diverse ne rivelano anche una funzione ornamentale: forse li adoperavano nei combattimenti rituali oppure le femmine sceglievano il maschio con il collare più appariscente (non è escluso che fosse colorato).
Questi indizi e altri come l’accudimento della prole portano oggi a pensare che il comportamento sociale dei dinosauri fosse più complesso di quanto ipotizzato un tempo. Non erano bestioni stupidi e lenti, predati da altri dinosauri dipinti come spietate e robotiche macchine da guerra.
Chissà come si sarebbero evoluti i ceratopsidi del Montana se dieci milioni di anni dopo non fosse caduto dal cielo l’asteroide killer.
Il fatto che i dinosauri fossero i dominatori del Giurassico rende più arduo spiegare la loro quasi totale scomparsa (esclusi pochi sopravvissuti che daranno origine agli uccelli), 66 milioni di anni fa.
Dimentichiamoci comunque la facile storia dei dinosauri soppiantati dai più intelligenti e lesti mammiferi. Sui nostri piccoli antenati pelosi in pochi avrebbero scommesso un soldo.
Forse i cambiamenti climatici precedenti la catastrofe avevano già messo in difficoltà i dinosauri. Forse l’asteroide ha dato solo il colpo di grazia dopo una serie di concomitanti sventure. Di sicuro i dinosauri hanno sofferto le conseguenze di uno stravolgimento ecologico globale. Questo scenario è stato definito “la tempesta perfetta”: una combinazione letale di alterazioni nella composizione dell’atmosfera, rapido cambiamento climatico e stress ecologico.
Ma non tutti erano giganti
I dinosauri avevano dimensioni diversissime, alcuni grossi e pesanti come un Boeing 747, altri non più grandi di un tacchino.
Quindi non erano tutti giganti.
Hanno dominato la Terra per più di 150 milioni di anni, mentre la nostra specie di primati bipedi è in circolazione soltanto da 200mila anni. Erano carnivori ed erbivori, predatori e prede, quadrupedi e bipedi, insomma si erano irradiati in ogni angolo del globo andando a occupare quasi tutte le nicchie ecologiche terrestri. Sorvegliavano i nidi, accudivano i loro piccoli, cacciavano in gruppo. Avevano armature e ornamenti. Ne sono stati scoperti di bellissimi, con penne e piume colorate che non servivano per volare ma per mantenere la temperatura corporea o per il corteggiamento.
Il pianeta sembrava proprio nelle loro mani, ma l’evoluzione è un gioco imprevedibile e i dominatori del momento non devono mai rilassarsi.
Se li è portati via intorno a 66 milioni di anni fa una congiura di accidenti ambientali sfavorevoli, e non soltanto il famoso meteorite gigante caduto nel Golfo del Messico: cambiamenti climatici, eruzioni vulcaniche e forse una serie di impatti di asteroidi. In sintesi, una gran sfortuna, o più precisamente quella che gli esperti chiamano una “tempesta perfetta” globale, cioè il simultaneo verificarsi di almeno tre sconvolgimenti ambientali su larga scala: clima che cambia più rapidamente del solito; alterazioni nella composizione dell’atmosfera; uno stress ecologico che si somma ai due fattori precedenti. Il risultato è un crollo di metà o anche due terzi della biodiversità complessiva. Fra parentesi, è quello che sta succedendo anche adesso alla Terra e sarebbe bene che noi umani evitassimo di figurare nella lista delle prossime specie estinte (nel nostro caso, auto-estinte).
La lunga notte alla fine del Cretaceo colpì non soltanto i dinosauri, ma moltissime altre specie. Fu una crisi globale. Tuttavia, a ulteriore riprova della loro resistenza, un piccolo manipolo di dinosauri teropodi (parenti stretti del celebre Tyrannosaurus e dello splendido Spinosaurus) riuscì a vedere l’alba dopo la catastrofe e diede origine alla discendenza degli uccelli. Quindi da un certo punto di vista i dinosauri sono ancora tra noi e ci volano attorno.
Una strana via di mezzo
Quando pensiamo ai dinosauri ci vengono in mente due categorie contrapposte di animali: veloci e spietati carnivori che grondano sangue dai denti e dagli artigli, da una parte; placidi e colossali erbivori, dall’aria non molto intelligente, dall’altra.
Il Chilesaurus diegosuarezi, descritto nel 2015 su Nature, si sottrae alla dicotomia. Era un bipede di modeste dimensioni (al massimo tre metri da adulto, coda compresa), vispo, erbivoro, con la testa piccola e smussata, il collo sottile e uno strano becco corneo sulla punta del muso. Con due tozze dita al posto degli artigli, il fare circospetto da grosso tacchino, triturava piante tra i suoi denti piatti nel tardo Giurassico, pascolando in vasti branchi in quella che oggi è la regione di Aysén, nel Cile meridionale.
Scoperto per caso nel 2004 dal figlio di sette anni del geologo cileno Manuel Suarez durante una perlustrazione nella Patagonia cilena, non ci volle molto perché i paleontologi lo eleggessero ufficialmente come il più bizzarro dinosauro mai trovato. Gli scopritori alla prima occhiata lo considerarono un teropode, cioè un parente stretto dei tirannosauri e dei velociraptor vissuti in epoche successive, quelli che nei parchi giurassici dei film di solito sgranocchiano umani e schiacciano le jeep sotto le zampe. Ma i teropodi non hanno il becco. Inoltre il loro marchio di fabbrica era quello di essere carnivori specializzati in filetto e interiora di altri rettili. Solo più tardi nel Cretaceo alcuni di loro diversificarono la dieta (sempre una buona idea in contesti ecologici instabili) diventando onnivori e mangiando alla bisogna anche piante, pesci e insetti. Quindi il dinosauro cileno - erbivoro già 150 milioni di anni fa e beccuto, ma con la silhouette slanciata da velociraptor - sembra assai eterodosso come teropode: è una miscela di caratteri così strana da suscitare qualche sospetto.
Il mite Chilesaurus è un mosaico unico di tratti: molti tipici dei teropodi, ma altri più da ornitischio come i denti, il becco e il bacino retroverso. Potrebbe quindi essere un preziosissimo punto di congiunzione, cioè una possibile forma di transizione tra i due gruppi. I “cilesauri” erano molto diffusi e rappresentavano una parte importante del loro ecosistema. Non erano una stranezza marginale. L’inusuale bestia cilena forse è una forma alla base degli ornitischi con caratteri incipienti da teropode, in pratica un ponte tra i due. Il Chilesaurus, stravagante combinazione di pezzi di dinosauri diversi, grande poco più di un canguro, dimostra una volta di più l’esuberante diversità di forme, di dimensioni e di adattamenti assunti da questi rettili che dominarono la Terra per 160 milioni di anni.
I rettili, a quel tempo, presidiavano le catene alimentari e avevano occupato le principali nicchie ecologiche del pianeta: ovunque, sulla terraferma, nei mari e nei cieli.
Ridisegnare l’albero dei giganti
L’albero di famiglia dei dinosauri è abbastanza intricato. Finora ci avevano insegnato che i teropodi e i sauropodi erbivori (tipo il brachiosauro dal lunghissimo collo, il diplodoco e il titanosauro) formano l’ordine dei saurischi, mentre tutti gli altri rientrano tra gli ornitischi, anch’essi erbivori (quelli a becco d’anatra o quelli corazzati e con le corna come i triceratopi). Per distinguerli bisogna guardare tra le gambe: hanno il bacino più da lucertole i saurischi, più da uccelli gli ornitischi, da cui il nome. A guardare bene, però, già questo è strano, perché i precursori degli uccelli attuali discendono tutti da una famiglia di teropodi - i dromeosauri piumati e artigliati - cioè da dinosauri con il bacino da lucertola che hanno poi evoluto (una seconda volta, indipendentemente dagli ornitischi) il bacino da uccelli. Così abbiamo pensato per più di un secolo, da quando nel 1888 il paleontologo inglese Harry G. Seeley cominciò a mettere ordine nella tassonomia dei “sauri terribili”.
Ora però i suoi successori Matthew Baron di Cambridge e Paul Barrett del National History Museum di Londra propongono un completo rimescolamento delle carte che dovrebbe farci riscrivere i manuali. Gli ornitischi e i teropodi sarebbero a loro avviso strettamente imparentati tra loro in un nuovo ordine di dinosauri piumati chiamato Ornithoscelida, mentre i sauropodi tipo il brontosauro e alcuni piccoli dinosauri carnivori molto antichi farebbero a sé come saurischi. Questo significa che teropodi classici come carnosauri e tirannosauri, da un lato, e ornitischi come gli stegosauri, dall’altro, ebbero un antenato comune più recente, vissuto intorno a 225 milioni di anni. I caratteri condivisi da teropodi e sauropodi, come le sacche d’aria, si sarebbero invece evoluti indipendentemente.
Le parentele tra i dinosauri sarebbero dunque da rivedere.
Dobbiamo riorganizzare allora i percorsi espositivi di tutti i musei di storia naturale del mondo? Non ancora, la comunità degli specialisti sta facendo le opportune verifiche. Non è facile nemmeno per i cacciatori di fossili districarsi nel rebus delle classificazioni. Due gruppi di dinosauri infatti potrebbero avere tratti in comune sia perché li hanno ereditati da un antenato in comune (in tal caso sono cugini stretti) sia perché li hanno sviluppati indipendentemente come risposta a problemi ambientali simili (in tal caso si assomigliano per quei tratti ma non sono parenti stretti, come pipistrelli e uccelli che hanno entrambi gli adattamenti per il volo ma non per questo sono cugini stretti). Inoltre l’evoluzione procede attraverso frondosi cespugli di specie che si ramificano ed è difficilissimo azzeccare nei sedimenti proprio l’agognato antenato comune di un certo gruppo.
Il più grande gigante alato di tutti i tempi
E’ di qualche giorno addietro l’annuncio del ritrovamento di almeno otto nuove specie In una miniera di fossili scoperta al confine tra Utah e Colorado nel 2009, risalente a 210 milioni di anni fa, cioè alla prima fase dell’evoluzione dei dinosauri, piuttosto sconosciuta finora, quando ancora non erano i dominatori della Terra, sono state ritrovate otto nuove specie.
Quella che ora è una distesa desertica, vicino al Dinosaur National Monument, nel Triassico era la sponda di un lago, un’oasi circondata da alte dune di sabbia. Chi avesse alzato gli occhi al cielo a quel tempo avrebbe potuto scorgere (per qualche attimo prima di essere inghiottito) un mostro terrificante: lo pterosauro, il più grande rettile volante di tutti i tempi. Si trattava di un predatore aereo formidabile, con un cranio robusto, piccoli occhi guizzanti, apertura alare di quasi un metro e mezzo, una mandibola fortissima dotata di zanne, e file di denti aguzzi che potevano triturare un coccodrillo. I suoi antenati erano più piccoli, mentre i suoi discendenti del Cretaceo diventeranno in alcuni casi veri e propri giganti volanti, con un apparato alare di straordinaria complessità ed efficienza: il quarto dito degli arti superiori era lunghissimo e sosteneva una membrana alare a vela che si congiungeva con gli arti inferiori, dotata di raffinatissime e sensibilissime fibre muscolari che ne adattavano la forma.
Il più imponente degli pterosauri si chiamava Quetzalcoatlus: era alto come una giraffa, aveva l’apertura alare di un piccolo aereo (11-12 metri) e pesava 60 chili. Queste strepitose bestie volanti potevano anche posarsi al suolo e cacciare camminando, quadrupedi, giacché sapevano usare le ali come stampelle! Anche la loro testa era un campionario di adattamenti stranissimi ma efficaci. Conosciamo 150 specie di pterosauri, che non erano dinosauri in senso stretto ma imparentati con i dinosauri entro il gruppo più ampio degli arcosauri.
Nello stesso sito nordamericano hanno trovato un bizzarro drepanosauro con testa come quella di un uccello e un artiglio sulla punta della coda, alcuni animali simili a coccodrilli ma con le zampe lunghe, e due tipi di piccoli ma tremendi dinosauri carnivori bipedi, tutti risalenti a questa epoca iniziale dei dinosauri ancora poco nota. Di lì a non molto (su scala paleontologica) un’estinzione di massa decimerà i rettili più antichi che erano stati i maggiori competitori dei dinosauri e consegnerà a questi ultimi il predominio sulle terre emerse.
Quindi anche dinosauri e pterosauri, come sarà in seguito per noi mammiferi, devono la loro fortuna a una catastrofe che aveva colpito i dominatori precedenti. Nelle alterne sorti dell’evoluzione, tutti gli imperi dei giganti prima o poi tramontano.
I più grandi volatori
Gli uccelli più pesanti in grado di volare sono le grandi otarde delle praterie asiatiche: per levare in volo i loro 12 chili di media (ma alcuni maschi pesano molto di più) hanno bisogno di tanta energia e di un’apertura alare di circa due metri e mezzo. Il condor delle Ande pesa circa lo stesso, ma ha un’apertura alare che può superare i tre metri. I maschi di albatro urlatore e di albatro reale del Sud sono più leggeri delle otarde, ma le loro ali possono arrivare a tre metri e mezzo di apertura: a loro basta spiegarle e possono librarsi nell’aria come piume, elegantissimi.
Tra caccia incontrollata e cavi dell’alta tensione, tutti gli uccelli più grandi sono fortemente minacciati. Altri sono già estinti.
Nelle Americhe del Miocene (tra 23 e 5 milioni di anni fa) spadroneggiavano alcuni uccelli predatori giganteschi, detti giustamente “uccelli mostruosi” (teratorniti). Uno di loro, Aiolornis incredibilis, pesava 23 chili e aveva ali di cinque metri e mezzo, incredibile appunto. Ma Argentavis magnificens veleggiava sopra la pampa con i suoi 80 chili che pesavano su ali di sei e forse otto metri.
Le ossa cave di questi uccelli, come di quelli attuali, hanno strutture interne sofisticate, le trabecole, che le rendono al contempo leggerissime, resistenti e flessibili, un miracolo di biomeccanica che noi umani abbiamo cercato in ogni modo di imitare. Noi mammiferi non arriviamo a tanto.
Il guinness del più grande mammifero volante al mondo è conteso tra la volpe volante della Malesia e la volpe volante dal capo dorato (Acerodon jubatus) delle Filippine: un pipistrello gigante mangiatore di fichi, con apertura alare di un metro e mezzo, per poco più di un chilo di peso. E’ in via di estinzione perché le sue carni sono apprezzate e viene cacciato fino allo stremo.
Ma non dimentichiamo che i primi organismi a volare non furono i vertebrati (cioè per primi i rettili con gli pterosauri, poi i dinosauri uccelli, e ultimi i pipistrelli), bensì invertebrati, cioè in particolare gli insetti.
Ben prima che un rettile spiccasse il volo infatti, nel Carbonifero e nel Permiano, nelle foreste dilagavano come elicotteri certe libellule gigantesche, grandi come uccelli, onnivore e piuttosto fameliche.